L’anatocismo è il meccanismo di
produzione degli interessi sugli interessi, definito dall’art. 1283 del codice civile.
Il fenomeno dell’anatocismo ha
suscitato particolare attenzione da parte della dottrina e della giurisprudenza
più recente in relazione alla prassi diffusa degli istituti di credito di
procedere, in applicazione delle norme bancarie uniformi del 1951, alla
capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi a fronte di una
capitalizzazione annuale degli interessi attivi.
Tale prassi comporta, in capo
al destinatario, la decorrenza di interessi sugli interessi dal trimestre
successivo all’addebito, con un costo reale per il correntista superiore a
quello nominalmente pattuito all’inizio del rapporto, costituendo un’evidente
disparità di trattamento.
La Corte di Cassazione, per
circa cinquant’anni, ha ritenuto che tale prassi bancaria non fosse in contrasto
con il divieto previsto dall’art. 1283 c.c.. Tale orientamento è stato rivisto
dalla Corte di Legittimità negli ultimi anni (Cass.civ. 16/3/99 n. 2374;
Cass.civ. 30/3/99 n. 3096: Cass. Civ. 11/11/99 n. 12507), ed è stato fatto
proprio dalle Sezioni Unite, nella nota sentenza n. 21095 del 4/11/2004, cui si
è successivamente uniformata la successiva giurisprudenza. Tale orientamento
sostiene che le clausole anatocistiche disciplinate dalla normativa in vigore
prima del D.Lgs. n. 342/99 sono da considerare nulle in quanto stipulate in
violazione dell’art. 1283 c.c., poiché basate non già su un uso normativo (come sostenuto dalle
pronunce precedenti), ma su un uso
negoziale.
Con il citato
decreto legislativo 342/1999 (articolo 25) il legislatore è intervenuto sulla
materia, demandando al Comitato Interministeriale per il Credito ed il
Risparmio (C.I.C.R.) di fissare le modalità ed i criteri per la produzione di
interessi sugli interessi nelle diverse tipologie di operazioni bancarie. Lo
stesso C.I.C.R. quindi, con delibera del 9.2.2000, ha stabilito modalità e
criteri per la produzione degli interessi maturati nelle operazioni poste in
essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo che nelle operazioni
in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa
periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, consentenza n. 24418/10, ha riconosciuto l’illegittimità dell’anatocismo in
quanto prassi contraria alla norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. e non
trasfusa in uso normativo.
La Suprema
Corte, con la predetta sentenza, ha definitivamente stabilito due principi di
diritto:
1. “Se, dopo la conclusione di un contratto di
apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce
per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di
interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a
questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione
è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza
del rapporto abbiano avuto solo fruizione ripristinatoria della provvista,
dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli
interessi non dovuti sono stati registrati”.
2.
relativamente alla capitalizzazione degli interessi
debitori, e, come conseguenza della dichiarata nullità della previsione
negoziale di capitalizzazione, per contrasto con il divieto di anatocismo
stabilito dall’art. 1283 c.c., “gli interessi a debito del correntista
debbono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna”.
La pregressa giurisprudenza
della Corte aveva già affermato che il termine di prescrizione decennale per il
reclamo delle somme trattenute indebitamente dalla banca a titolo di interessi
su di un’apertura di conto corrente decorre dalla chiusura definitiva del
rapporto, trattandosi di un contratto unitario che dà luogo ad un unico
rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi;
sicché è solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i
crediti e i debiti delle parti tra loro (Cass. 14/5/2005 n. 10127 e Cass.
9/7/84 n. 2262).
La sentenza n. 24418 ha
definitivamente sancito che il contratto di conto corrente costituisce un
contratto unitario e la prescrizione decennale decorre dalla data di chiusura
del conto stesso.
Ha precisato,
inoltre, che l’annotazione in conto di ogni singola posta di interessi comporta
solo un mero incremento del saldo a debito del correntista ma non costituisce
sic et simpliciter un “pagamento avente natura solutoria”. Solo quando
il saldo di c/c dovesse presentare una situazione di “oltre fido”,
ovvero di scoperto (saldo negativo in assenza di fido), i successivi versamenti
che il correntista andasse ad effettuare per il rientro nei limiti del fido
(ripristino della provvista) integrerebbero la fattispecie di pagamenti aventi natura
solutoria. Ovviamente solo la parte del versamento utile al rientro
dell’extra fido avrebbe natura solutoria.
Ad avviso
dello scrivente ricadrebbe in capo alla Banca l’onere di dimostrare,
indicandoli puntualmente, quali siano stati i pagamenti aventi natura solutoria
prescritti. Detta impostazione trova fondamento nell’orientamento di
legittimità in tema di revocatoria fallimentare: “alla curatela fallimentare
spetta la dimostrazione della sussistenza della rimessa, della sua
effettuazione nel periodo sospetto e della scientia decoctionis
dell’imprenditore poi fallito da parte della banca”. (Cass. 26/2/99 n.
1672). L’onere probatorio relativo alla configurazione solutoria delle
operazioni in questione spetterebbe alla banca similmente a quanto, a parti
invertite, toccava al curatore nel pregresso regime della revocatoria
fallimentare.
Anche recenti
sentenze di merito, successive alla pronuncia della Cassazione S.U. 24418/10,
hanno ribadito il circostanziato onere posto a capo della Banca: “All’attore ex art. 2033 c.c. spetta di
provare di aver eseguito degli spostamenti patrimoniali in favore
dell’accepiens e l’assenza originaria ovvero il venir meno della causa
giustificativa dei pagamenti (rispettivamente, condictio indebiti sine causa
ovvero causam finitam). Nel caso di specie, parte attrice ha dato prova di aver
eseguito dei versamenti di denaro attraverso gli estratti conto prodotti,
mentre il venir meno del titolo legittimamente il pagamento risiede nella
dichiarazione di nullità parziali del contratto sopra pronunciate. L’onere probatorio incombente su parte
attrice deve pertanto ritenersi assolto. Al contrario la banca, quale
soggetto eccepiente la prescrizione, avrebbe dovuto specificare per quali, tra
i pagamenti allegati da parte attrice, sarebbe decorso il termine di
prescrizione, in quanto aventi natura propriamente solutoria. Ciò deriva
dall’applicazione dell’art. 2697 c.c. e dalla natura dispositiva dell’eccezione
di prescrizione, che impongono l’onere di tipizzarla e di connotarla rispetto
ad una specifica prestazione, non potendo il Giudice ritenere prescritta una
richiesta di prestazione non specificatamente individuata.” (Tribunale Novara, S. Gambacorta, 1/10/2012;
anche Tribunale di Aosta, 2/3/2012 n. 96).
Il secondo
principio, ribadito dalla sentenza: “gli
interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza
capitalizzazione alcuna”, impone una conseguenza inconfutabile: tutti i
saldi (trimestrali e non) risultanti dagli estratti conto redatti dalle banche
(relativi a rapporti sorti anteriormente al 22/4/2000) sono errati, se non
altro perché contengono illegittimi interessi anatocistici.
L’accertamento
della nullità della capitalizzazione trimestrale è imprescrittibile e comporta
il venir meno della clausola ex tunc, trascinando ogni effetto successivo: la situazione contabile prospettata nel
tempo va necessariamente rettificata.
Infatti, se
nel ricalcolo del saldo si lasciassero invariati tutti gli illegittimi addebiti
delle competenze bancarie, si avrebbe una situazione contabile assai diversa da
quella legale. In tali circotanze lo scoperto di fido sarebbe solo apparente,
dovuto alla confusione di interessi illegittimi e di capitale.
Pertanto -
dichiarata espressamente, ed inequivocabilmente, la nullità della clausola
di capitalizzazione trimestrale, contemplata nel contratto di conto
corrente bancario, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito
dall’art. 1283 c.c. - il saldo da
considerare per definire un versamento solutorio non è quello rinvenibile dagli
estratti conto bancari, ma è il saldo
ricalcolato, depurato dalle competenze bancarie illegittimamente addebitate dalla
banca, nel corso del rapporto. Queste competenze possono essere costituite,
oltre che dagli interessi anatocistici, anche dalle commissioni di massimo
scoperto e dalle spese forfettarie addebitate dalla banca.