martedì 12 agosto 2008

LA PROGRESSIVITA' DELL'IMPOSTA NEL SISTEMA TRIBUTARIO ITALIANO

Il sistema tributario italiano s’ispira ad alcuni principi fondamentali della Costituzione. Il principio di solidarietà, art. 2 Costituzione, secondo cui il pagamento delle imposte (o tasse) rappresenta uno dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Il principio di uguaglianza, art. 3 Cost., secondo cui tutti i cittadini sono tenuti al pagamento delle imposte e delle tasse poiché hanno pari dignità e sono uguali davanti alla legge. Il principio di legalità, art. 23 Cost., secondo il quale nessuna prestazione può essere imposta se non in base alla legge (riserva di legge): le imposte e le tasse possono essere disciplinate solo con atti aventi forza di legge (legge ordinaria, decreto legge, decreto legislativo). Il principio della capacità contributiva, art. 53, co. 1, Cost., secondo cui tutti i cittadini sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il principio della progressività, art. 53, co. 2, Cost., che prevede un sistema tributario in cui le aliquote aumentano con l’aumentare del reddito in maniera progressiva. Questo è uno strumento di perequazione fra i diversi contribuenti. In ogni caso, per evitare che il prelievo fiscale, continuando a crescere più che in proporzione, arrivi ad assorbire tutto l’imponibile, è stabilito un limite massimo oltre il quale l’aliquota diventa costante. Nell’imposizione dei tributi si manifesta il potere di sovranità dello Stato, e, correlativamente, il dovere dei cittadini di contribuire al finanziamento della spesa pubblica[1]. Fra le entrate che gli enti pubblici prelevano per la copertura delle loro spese, l’imposta è certamente quella più studiata, sebbene nell’ordinamento italiano non si trovi una definizione generale di imposta, diversamente da quando accade in altri Paesi europei. La nozione è tuttavia presente nel nostro sistema che puntualmente la impiega nel designare le relative e specifiche forme di prelievo; si pensi alla denominazione di imposta sul reddito delle persone fisiche utilizzata nel DPR 917/1986 e a quella di imposta sul valore aggiunto, impiegata dal DPR 633/72. Il significato del secondo comma dell’art. 53 Cost. - “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività” - va inquadrato in stretto collegamento con il principio di “eguaglianza sostanziale”, sancito nel secondo comma dell’art. 3: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando, di fatto, la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. La scelta di un sistema tributario “informato a criteri di progressività” è finalizzata a una forma di riequilibrio sociale: ampie disparità nel reddito dei cittadini sono considerate “ostacoli di ordine economico” tali da impedire libertà ed eguaglianza dei cittadini, nonché il pieno sviluppo della persona umana.

Breve storia del sistema tributario italiano

Il tema che “più uno è ricco più deve pagare” è stato introdotto dalla Rivoluzione inglese e successivamente ribadito dalla Rivoluzione francese. Questi movimenti si erano, infatti, già resi conto che non potesse esserci giustizia, intesa come equilibrio dei gruppi di una collettività, se non vi fosse una corretta perequazione dei beni. Lo Stato, perciò, avrebbe dovuto pretendere una maggior contribuzione da parte dei benestanti in modo da non gravare sui meno abbienti. La consapevolezza che, senza una corretta perequazione, non possa esservi giustizia ha origini illuministe. Una delle idee fondamentali dell’illuminismo fu quella del diritto universale da cui derivò quello spirito di universale giustizia e libertà, che ebbe tanta parte nella rivoluzione francese e americana, e di solidarietà internazionale (Principio di uguaglianza fra individui). Nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 (art. 13 e 14 Costituzione Francia) non vi è alcuna formulazione normativa che richiami espressamente l’interesse fiscale o i diritti fondamentali del contribuente, essendo limitate le norme fiscali all’enunciazione del principio del consenso alle imposte e, dunque, alla fissazione della riserva di legge. Dal 1848 al 1861 lo Statuto albertino, proclamato il 4 marzo 1848 nel Regno sardo-piemontese e, nel 1861, con l’unificazione estesa a tutto il territorio italiano, nell’art. 25 recita che “Essi (tutti i regnicoli) contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato”[2]. Tale norma costituisce l’antecedente storico dell’art. 53 Costituzione. Nello Statuto albertino sono significativamente indicati tanto l’esistenza di un obbligo di contribuire alle spese pubbliche a carico dei consociati, quanto la fissazione di un limite al potere impositivo consistente nella “proporzionalità” con le sostanze patrimoniali di ciascuno. Tale criterio oggettivo di riparto si presentava consonante con l’idea di protezione e difesa della proprietà privata e dell’iniziativa individuale, in linea con i postulati teorici dell’epoca e in particolare con le aspirazioni produttivistiche della borghesia. La proporzionalità fu posta in connessione con il principio di commutatività: si evidenziò che il criterio di riparto dei carichi fiscali dovesse essere improntato alla misura del beneficio o comunque alla quantità e qualità del servizio pubblico ricevuto. Dal 1877, i sudditi del Regno dovevano contribuire alle spese dello Stato come stabilito dal regio decreto n. 4021 del 24 agosto 1877 che approvava il Testo Unico delle leggi di imposta sui redditi della cosiddetta "ricchezza mobile" (Redditi in denaro o in natura derivanti da capitale o da lavoro). Questa norma rimase in vigore fino al 1958[3], nonostante che, nel frattempo, caduta la monarchia, fossero state già inserite nella Carta costituzionale norme inerenti all’imposizione fiscale in termini di “capacità contributiva” e di “criteri di progressività”. Tuttavia, nelle discussioni che si tennero durante la fase costituente fu esposta l’esigenza di attribuire un particolare risalto alla materia finanziaria, inserendo un gruppo di norme di carattere tributario. Venne così assunta la decisione di individuare principi di ordine programmatico con cui vennero dettate direttive generali cui conformare il sistema tributario e non anche regole vincolanti rispetto alla struttura dei tributi, in modo da non ingessare troppo l’indirizzo politico del raccordo legislativo-esecutivo. Una delle norme sostanziali contenuta nella Costituzione è l’art. 23 che, per la legittimità dell’imposizione di una prestazione, esige non soltanto che questa trovi la sua base nella legge, ma altresì che la legge attributiva della potestà d’imposizione indichi i criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell’ente impositore, sì da non lasciare all’arbitrio dell’ente stesso la determinazione della prestazione. Si ritenne necessario procedere all’indicazione espressa del criterio ripartitorio dei carichi fiscali tra gli appartenenti alla comunità, da ricercare nel principio di capacità contributiva, considerato quale adeguato parametro di giudizio della misura di partecipazione del singolo consociato al riparto dei carichi pubblici. Si delineò la convinzione che il richiamo alla progressività dovesse intendersi come espressione della giustizia redistributiva da assumere in ragione del principio, ormai affermato, dell’utilità marginale decrescente (L'utilità di un bene diminuisce al crescere del livello assoluto di consumo del bene stesso) cosicché il carico fiscale poteva ragionevolmente aumentare in misura più che proporzionale con il crescere della ricchezza. Il riferimento al sistema tributario nella sua interezza escludeva un effettivo sindacato sui singoli tributi, come ha, tra l’altro, in più di un’occasione sancito la Corte Costituzionale (sentenza n. 128/1966). La Costituzione ha segnato così il passaggio da un sistema di imposizione prevalentemente reale (Le imposte si applicano direttamente alla manifestazione di ricchezza, senza tener conto delle condizioni personali del contribuente. ) ad un sistema di tassazione personale (Le imposte si applicano in considerazione delle condizioni personali, perché tengono conto della fonte, del numero dei componenti il nucleo familiare e simili.). La Costituzione, per quanto riguarda i tributi, ha previsto una riserva di legge[4] che stabilisce che le prestazioni coattive possono essere imposte ai cittadini solo con l’intervento del Parlamento, organo liberamente eletto dagli stessi. Nel 1973 fu emanata una riforma fiscale che istituiva l'imposta sul reddito delle persone fisiche abolendo quelle precedentemente fissate[5]. Una minima variazione alla normativa si ebbe con la Legge n. 576 del 2 dicembre 1975, ma solo con il decreto legge 30 dicembre 1982, n. 953, gli scaglioni e le aliquote furono drasticamente ridotti (da 32 a 9). Una successiva variazione fu apportata con il D.P.R. n. 917 del 22 dicembre 1986: scaglioni di reddito e aliquote furono rideterminati riducendone ulteriormente il numero fino agli attuali 4 scaglioni. È il caso di rilevare come il criterio di progressività si è trasformato man mano, nell’imposizione reddituale, in forme sempre più innovative. Come si può notare, l’idea di un’accentuata progressività delle aliquote – che costituisce la tradizionale forma di connotazione progressiva di un’imposta – è stata abbandonata a favore di scelte normative che incoraggiano la “personalità” dell’imposta, collegate alla capacità giuridica di cui all’art. 53 Cost. con l’evidente insegnamento secondo cui il vero interesse del Fisco non è quello di costringere il contribuente a soddisfare pretese sostanzialmente ingiuste, bensì quello di curare che il prelievo sia sempre in armonia con la capacità contributiva. A ben vedere tale è l’impostazione del rapporto tributario sancito dallo Statuto del Contribuente (Legge n. 212 del 27 luglio 2000) che richiama al rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza, di capacità giuridica e d’imparzialità (Artt. 3, 53 e 97 della Costituzione).

[1] A. DE VITI DE MARCO, Principi di economia finanziaria, Torino, 1939, 75 ss. Tale nozione non è incompatibile con la concezione dell’imposta come strumento di una politica economica e finanziaria di sviluppo, poiché il costo dei cosiddetti servizi pubblici indivisibili può essere ripartito in un numero indefinito di modi e tra questi il legislatore può scegliere quelli che ritiene più confacenti alla politica di sviluppo che intende perseguire.
[2] Statuto fondamentale della Monarchia di Savoia, promulgato il 4 marzo 1848 dal Re Alberto di Savoia-Carignano. Il 17 marzo 1861, con la fondazione del Regno d'Italia, divenne la Carta costituzionale della nuova Italia unita e rimase formalmente tale fino al biennio 1944/'46.
[3] Il D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, modificò sostanzialmente la struttura del R.D. 24 agosto 1877 n. 4021, tenuto conto che già nel 1923 era stato emanato il R.D. 30 dicembre 1923 n. 3062, istitutivo della imposta complementare progressiva sul reddito.
[4] La riserva di legge prevede che la disciplina di una determinata materia sia regolata soltanto dalla legge primaria e non da fonti di tipo secondario.
[5] D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597. L'art. 1 recita che "Presupposto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche è il possesso dei redditi, in denaro o in natura, continuativi od occasionali, provenienti da qualsiasi fonte."

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