venerdì 21 febbraio 2014

ANATOCISMO - Sentenza Suprema Corte di CASSAZIONE. nr. 24418/2010





L’anatocismo è il meccanismo di produzione degli interessi sugli interessi, definito dall’art. 1283 del codice civile.

Il fenomeno dell’anatocismo ha suscitato particolare attenzione da parte della dottrina e della giurisprudenza più recente in relazione alla prassi diffusa degli istituti di credito di procedere, in applicazione delle norme bancarie uniformi del 1951, alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi a fronte di una capitalizzazione annuale degli interessi attivi.

Tale prassi comporta, in capo al destinatario, la decorrenza di interessi sugli interessi dal trimestre successivo all’addebito, con un costo reale per il correntista superiore a quello nominalmente pattuito all’inizio del rapporto, costituendo un’evidente disparità di trattamento.

La Corte di Cassazione, per circa cinquant’anni, ha ritenuto che tale prassi bancaria non fosse in contrasto con il divieto previsto dall’art. 1283 c.c.. Tale orientamento è stato rivisto dalla Corte di Legittimità negli ultimi anni (Cass.civ. 16/3/99 n. 2374; Cass.civ. 30/3/99 n. 3096: Cass. Civ. 11/11/99 n. 12507), ed è stato fatto proprio dalle Sezioni Unite, nella nota sentenza n. 21095 del 4/11/2004, cui si è successivamente uniformata la successiva giurisprudenza. Tale orientamento sostiene che le clausole anatocistiche disciplinate dalla normativa in vigore prima del D.Lgs. n. 342/99 sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell’art. 1283 c.c., poiché basate non già su un uso normativo (come sostenuto dalle pronunce precedenti), ma su un uso negoziale.

Con il citato decreto legislativo 342/1999 (articolo 25) il legislatore è intervenuto sulla materia, demandando al Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (C.I.C.R.) di fissare le modalità ed i criteri per la produzione di interessi sugli interessi nelle diverse tipologie di operazioni bancarie. Lo stesso C.I.C.R. quindi, con delibera del 9.2.2000, ha stabilito modalità e criteri per la produzione degli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, consentenza n. 24418/10, ha riconosciuto l’illegittimità dell’anatocismo in quanto prassi contraria alla norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. e non trasfusa in uso normativo.

La Suprema Corte, con la predetta sentenza, ha definitivamente stabilito due principi di diritto:
1.      Se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo fruizione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati”.
2.      relativamente alla capitalizzazione degli interessi debitori, e, come conseguenza della dichiarata nullità della previsione negoziale di capitalizzazione, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall’art. 1283 c.c.,  “gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna.

La pregressa giurisprudenza della Corte aveva già affermato che il termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme trattenute indebitamente dalla banca a titolo di interessi su di un’apertura di conto corrente decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi; sicché è solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro (Cass. 14/5/2005 n. 10127 e Cass. 9/7/84 n. 2262).

La sentenza n. 24418 ha definitivamente sancito che il contratto di conto corrente costituisce un contratto unitario e la prescrizione decennale decorre dalla data di chiusura del conto stesso.
Ha precisato, inoltre, che l’annotazione in conto di ogni singola posta di interessi comporta solo un mero incremento del saldo a debito del correntista ma non costituisce sic et simpliciter un “pagamento avente natura solutoria”. Solo quando il saldo di c/c dovesse presentare una situazione di “oltre fido”, ovvero di scoperto (saldo negativo in assenza di fido), i successivi versamenti che il correntista andasse ad effettuare per il rientro nei limiti del fido (ripristino della provvista) integrerebbero la fattispecie di pagamenti aventi natura solutoria. Ovviamente solo la parte del versamento utile al rientro dell’extra fido avrebbe natura solutoria.

Ad avviso dello scrivente ricadrebbe in capo alla Banca l’onere di dimostrare, indicandoli puntualmente, quali siano stati i pagamenti aventi natura solutoria prescritti. Detta impostazione trova fondamento nell’orientamento di legittimità in tema di revocatoria fallimentare: “alla curatela fallimentare spetta la dimostrazione della sussistenza della rimessa, della sua effettuazione nel periodo sospetto e della scientia decoctionis dell’imprenditore poi fallito da parte della banca”. (Cass. 26/2/99 n. 1672). L’onere probatorio relativo alla configurazione solutoria delle operazioni in questione spetterebbe alla banca similmente a quanto, a parti invertite, toccava al curatore nel pregresso regime della revocatoria fallimentare.

Anche recenti sentenze di merito, successive alla pronuncia della Cassazione S.U. 24418/10, hanno ribadito il circostanziato onere posto a capo della Banca: “All’attore ex art. 2033 c.c. spetta di provare di aver eseguito degli spostamenti patrimoniali in favore dell’accepiens e l’assenza originaria ovvero il venir meno della causa giustificativa dei pagamenti (rispettivamente, condictio indebiti sine causa ovvero causam finitam). Nel caso di specie, parte attrice ha dato prova di aver eseguito dei versamenti di denaro attraverso gli estratti conto prodotti, mentre il venir meno del titolo legittimamente il pagamento risiede nella dichiarazione di nullità parziali del contratto sopra pronunciate. L’onere probatorio incombente su parte attrice deve pertanto ritenersi assolto. Al contrario la banca, quale soggetto eccepiente la prescrizione, avrebbe dovuto specificare per quali, tra i pagamenti allegati da parte attrice, sarebbe decorso il termine di prescrizione, in quanto aventi natura propriamente solutoria. Ciò deriva dall’applicazione dell’art. 2697 c.c. e dalla natura dispositiva dell’eccezione di prescrizione, che impongono l’onere di tipizzarla e di connotarla rispetto ad una specifica prestazione, non potendo il Giudice ritenere prescritta una richiesta di prestazione non specificatamente individuata.”  (Tribunale Novara, S. Gambacorta, 1/10/2012; anche Tribunale di Aosta, 2/3/2012 n. 96).

Il secondo principio, ribadito dalla sentenza: “gli interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza capitalizzazione alcuna”, impone una conseguenza inconfutabile: tutti i saldi (trimestrali e non) risultanti dagli estratti conto redatti dalle banche (relativi a rapporti sorti anteriormente al 22/4/2000) sono errati, se non altro perché contengono illegittimi interessi anatocistici.

L’accertamento della nullità della capitalizzazione trimestrale è imprescrittibile e comporta il venir meno della clausola ex tunc, trascinando ogni effetto successivo: la situazione contabile prospettata nel tempo va necessariamente rettificata.

Infatti, se nel ricalcolo del saldo si lasciassero invariati tutti gli illegittimi addebiti delle competenze bancarie, si avrebbe una situazione contabile assai diversa da quella legale. In tali circotanze lo scoperto di fido sarebbe solo apparente, dovuto alla confusione di interessi illegittimi e di capitale.

Pertanto - dichiarata espressamente, ed inequivocabilmente, la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale, contemplata nel contratto di conto corrente bancario, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall’art. 1283 c.c. -  il saldo da considerare per definire un versamento solutorio non è quello rinvenibile dagli estratti conto bancari, ma è il saldo ricalcolato, depurato dalle competenze bancarie illegittimamente addebitate dalla banca, nel corso del rapporto. Queste competenze possono essere costituite, oltre che dagli interessi anatocistici, anche dalle commissioni di massimo scoperto e dalle spese forfettarie addebitate dalla banca.

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