sabato 27 settembre 2008

L'ATTUAZIONE DEI PRINCIPI COSTITUZIONALI

Art. 53, 1° comma. La capacità contributiva. Il dovere di concorrere alle spese.

È opinione comune che il principio di capacità contributiva costituisca l’espressione della regola fondamentale di giustizia tributaria accolta nel nostro ordinamento, riconducibile alla solidarietà di gruppo, intesa come criterio distributivo dei benefici e degli oneri inerenti alla partecipazione al gruppo medesimo.


Una prima, argomentata rivendicazione della “giuridicità” del concetto di capacità contributiva venne identificato nella “forza” o “possibilità” economica, presupposto naturale della contribuzione alle spese pubbliche.


Si è quindi cercato di definire la relazione esistente tra “forza” o “capacità” economica e capacità contributiva, ponendo in rilievo che la prima non implichi la seconda se non in quanto essa superi il “minimo vitale”.


Del minimo vitale si occupò la Corte Costituzionale già nel 1968, ritenendo che la capacità contributiva “non coincide affatto con la percezione di un qualsiasi reddito e che vi è soggezione all’imposizione solo quando sussista una disponibilità di mezzi economici che consenta di farvi fronte”, con conseguente doverosa esenzione dall’imposizione di quei soggetti che percepiscano redditi tanto modesti da essere appena sufficienti a soddisfare i bisogni elementari della vita. Ne risulta quindi, in relazione all'art. 53, il principio per il quale l’imposizione non può spingersi al di là del limite intangibile del minimo vitale. La stessa sentenza chiarì che la determinazione di tale minimo “scaturisce da una complessiva valutazione della situazione economica del Paese, delle esigenze della pubblica spesa e dell’incidenza che sulle finanze statali può produrre la concessione di maggiori detrazioni, vale a dire da una valutazione discrezionale affidata alla competenza e responsabilità del legislatore”.


All’attuazione dei doveri di solidarietà si collegano altresì connotati di progressività che talune imposte assumono, in armonia con la previsione del comma 2, art. 53 della Costituzione.
L’inasprimento dell’incidenza del prelievo, con l’elevarsi dell’entità della ricchezza tassata, realizza la c.d. discriminazione quantitativa fra manifestazioni di capacità contributiva pur identiche per natura.


Si potrebbe discutere se l’art. 2 della Costituzione, laddove afferma che la Repubblica “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, intenda riferirsi anche a doveri diversi da quelli espressamente menzionati nella Costituzione stessa, ma non sembra ci siano dubbi che tutti i doveri “inderogabili” in essa menzionati siano doveri di solidarietà.


I caratteri della solidarietà sono evidenziati anche nell’art. 4 della Costituzione ove il dovere è presentato come il “concorso” di ogni cittadino, “secondo le proprie possibilità”, “al progresso materiale o spirituale della società”.


Il concetto di capacità contributiva è una conseguenza del carattere solidaristico previsto nei principi fondamentali della nostra Costituzione.
Una deroga al principio della capacità contributiva è costituita dalle agevolazioni e dalle esenzioni fiscali.


La legge delega per la riforma tributaria raccomandava che la materia delle esenzioni, delle agevolazioni e dei regimi fiscali sostitutivi rispondesse al criterio di «limitare nella maggior misura possibile le deroghe ai principi di generalità e di progressività dell’imposizione» (Legge n. 825 del 9 ottobre 1971, art. 9).


Poiché la capacità contributiva deve misurarsi con altri interessi diversi da quello di assicurare il gettito fiscale, l’agevolazione si giustifica solo laddove persegua una funzione extrafiscale riconosciuta dall’ordinamento (Aiuti all’imprenditoria femminile; alle zone disagiate del Mezzogiorno; aiuti per eventi straordinari come i terremoti ). Solo in presenza di tale condizione può ammettersi una deroga al principio di capacità contributiva, che altrimenti risulterebbe violato, ponendosi l’agevolazione come un trattamento di favore concesso per situazioni soggettivamente od oggettivamente particolari e, quindi, in violazione del principio di uguaglianza economica di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione.


Oggi la dottrina dominante è concorde nel ritenere la capacità contributiva come l’idoneità economica dell’individuo a concorrere alle spese pubbliche, la quale si esprime attraverso indici economicamente valutabili, quali un patrimonio, un reddito, una spesa per consumi o investimenti; fenomeni sempre suscettibili di valutazione economica. Sarebbero incostituzionali imposte che colpissero fenomeni diversi, per esempio lo stato civile di una persona.Questa interpretazione del principio di cui all’articolo 53 è stata accolta pienamente anche dalla Corte Costituzionale stabilendo che: “Per capacità contributiva si deve intendere l’idoneità economica del contribuente a corrispondere la prestazione coattiva imposta” (Sentenza n. 45 del 4 giugno 1964).

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