martedì 14 ottobre 2008

LA FLAT-TAX COME SISTEMA DI IMPOSIZIONE PROGRESSIVA

In questi ultimi anni si è andato sviluppando un acceso dibattito sulla cosiddetta “flat-tax”, cioè un’imposta sui redditi personali caratterizzata da una sola aliquota. Il dibattito è acceso in molti dei paesi occidentali, più o meno sviluppati: si va dagli USA, dove tradizionalmente c’è maggiore disponibilità per una competizione ed uno sviluppo che lascino in secondo piano i temi dello stato sociale e della coesione sociale, alla Germania, dove di recente la candidata alla cancelleria Angela Merkel aveva posto la flat-tax come uno dei possibili obiettivi di legislatura (con qualche problema di consenso anche all’interno dello schieramento conservatore), ai paesi dell’Est europeo post comunista, che massicciamente hanno adottato la flat-tax [1].

In Italia non sono moltissimi gli aperti sostenitori di una flat-tax, ma va pur considerato che la legge delega di riforma dell’Irpef, approvata dal Parlamento nel 2003, prevedeva due sole aliquote (23% e 33%), di cui però quella maggiore si applicava solo a meno dello 0,5% dei contribuenti e per la sola parte del reddito eccedente i 100.000 euro. Dunque, la maggioranza del Parlamento aveva approvato per uno dei grandi paesi dell’Europa un’imposta personale estremamente vicina ad una flat-tax.

Sempre per l’Italia, va detto che esistono autorevoli pareri favorevoli, come quelli Giulio Tremonti e Antonio Martino, ad un’Irpef fondata su una sola aliquota, purché accompagnata da importanti correttivi quali detrazioni, franchigie, deduzioni, imposta negativa.

I sostenitori della flat-tax la considerano auspicabile per due ordini di motivi: la capacità di un’imposta ad una sola aliquota, possibilmente bassa, di stimolare l’offerta di lavoro e l’iniziativa d’impresa, e per questa via lo sviluppo economico ed il benessere della popolazione. La semplicità e la percepibilità di quest’impianto sarebbero accompagnate dalla riduzione dei costi di gestione e controllo, da parte dello Stato, e dei costi di elusione/evasione, da parte dei cittadini.

Più convincenti sembrano invece i motivi di perplessità. Data per necessaria ed utile (in ultima analisi anche ai fini produttivi) un’azione redistributiva del bilancio pubblico, un “sistema tributario ispirato alla progressività” (come prescrive la nostra Costituzione) può poggiare su un’imposta progressiva, considerato che le altre imposte vigenti sono essenzialmente proporzionali se non regressive.

Qualche considerazione va infine fatta, per la rilevanza delle conseguenze, sulla tesi che la contrarietà alla flat-tax non ha ragione di esistere ove essa fosse accompagnata da deduzioni e detrazioni che la rendessero progressiva. É indubbio che l’introduzione di una franchigia esente, o di deduzioni o detrazioni, fisse o decrescenti, rende progressiva anche un’imposta con una sola aliquota: se ad esempio i primi 10.000 euro sono esenti e l’aliquota è del 30%, chi guadagna 20.000 euro deve un’imposta di 3.000 euro, mentre chi guadagna 40.000 euro, deve un’imposta di 9.000 [2].

Si potrebbe realmente immaginare una progressività basata non più su un complesso di percentuali, ma su una “flat-tax” unita a deduzioni e detrazioni progressive che, prevederebbe una no tax area con riferimento al minimo vitale, sempre escluso dall’imponibile, e da un ulteriore scaglione di reddito. Al di là di una determinata soglia si potrebbe effettivamente introdurre un’aliquota “piatta” cui dovrebbe (necessariamente) essere combinato un sapiente sistema di deduzioni e detrazioni progressive. Si tratterebbe, evidentemente, di elaborare un meccanismo in grado di perseguire efficacemente ulteriori valori egualmente tutelati dalla nostra Carta Costituzionale.

La “flat-tax” utilizzata con detrazioni o deduzioni progressive determina forme di reinvestimento dei redditi oppure finalizzate a sostenere specifiche aree produttive in difficoltà (Diritto al lavoro tutelato dall’art. 4 della Costituzione), o per i redditi collegati ad attività in campi come la ricerca scientifica e la protezione dell’immenso patrimonio culturale della penisola (Attività tutelate dall’art. 9 della Costituzione). Più “tradizionale”, ma comunque determinante, risulterebbe anche un pacchetto di agevolazioni progressive riferite alla spesa farmaceutica e sanitaria (Diritto alla salute art. 32 della Cost.), scolastica (Diritto allo studio, artt. 30, 33 e 34 Cost.) e, in generale, a sostegno del matrimonio, delle famiglie numerose (Diritto alla famiglia, artt. 29, 30 e 31 Cost.) e dell’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. La manovra finanziaria nel suo complesso potrebbe essere impostata su un’impalcatura di agevolazioni progressive anche indirizzate a tutelare particolari forme di attività economica socialmente meritevoli (La cooperazione è riconosciuta dall’art. 45 della Costituzione).

Tali idee, evidentemente, hanno carattere meramente indicativo, ma il principio è chiaro: si può rispettare il dettato costituzionale spostando la nozione di progressività sulle esenzioni, sulle deduzioni, sulle detrazioni e su sistemi equivalenti piuttosto che sulle aliquote, semplificando allo stesso modo il sistema tributario.


[1] Dati tratti da “The Economist” del 14 aprile 2005. Estonia, 26% nel 1994. Lituania, 33% nel 1994. Lettonia, 25% nel 1995. Russia, 13% nel 2001. Serbia, 14% nel 2003. Ucraina, 13% nel 2004. Slovacchia, 19% nel 2004. Georgia, 12% nel 2005. Romania, 16% nel 2005.
[2] La progressività è rispettata. Infatti, raddoppiando il reddito, triplica l’imposta.

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